Nuova Rivista di Counseling Filosofico N°18 | Prof. Enzo Novara


Il counseling filosofico e la dimensione affettiva

Affrontare filosoficamente la dimensione emotiva dell’uomo, facendone oggetto di studio e di pratica filosofica, significa peraltro perseguire l’obiettivo di un pensiero critico, che rifiuta l’approccio riduzionistico della semplificazione e della dissoluzione del complesso in una mera somma di elementi irrelati, così come della reductio ad unum. –Enzo Novara


Abstract

Ci si interroga sulla legittimità del considerare, all’interno di un counseling “filosofico”, la dimensione delle emozioni. Si mostra come la dimensione affettiva sia un ambito di riflessione centrale nella storia della filosofia e, con le dovute attenzioni, possa e debba rientrare nel campo di intervento del counselor filosofico, a diversi livelli.

Premessa

Il counselor filosofico può/deve affrontare e trattare le emozioni? Oppure deve limitarsi a prenderle in considerazione solo come sfondo del discorso che la parola intesse tra i due interlocutori? O, in modo più radicale, non deve per nulla occuparsene, e anzi ha l’obbligo di estromettere totalmente dal suo intervento ogni riferimento a questa dimensione? È chiaro che dietro questa domanda si intravede un’altra questione: quella del confine tra counseling filosofico e intervento di tipo psicologico. Un questione delicata.

Si è più volte richiamata l’esigenza di definire il confine e di rispettarlo, e questo principio va conservato e riaffermato, ma, una volta stabilito il confine, occorre anche tenere presenti altre considerazioni:

  • a) L’atteggiamento prudenziale e le cautele sono necessarie di fronte alla patologia. Estendere gli orizzonti della riflessione in questo campo è pericoloso. Lo è sul piano legale ma lo è prima ancora sul piano sostanziale della possibilità di attuare un intervento efficace e, prima di tutto, non dannoso.
  • b) I confini sono costruzioni come lo sono i saperi che essi racchiudono. La realtà, noumenicamente, sta al di là di ogni confine e perciò occorre assumere una visione complessa (nel senso del paradigma della complessità) e (moderatamente) costruttivistica. Da un lato l’oggetto non è solo una variabile dipendente dal sapere che lo delimita e lo studia: esso si colloca al di là di quel sapere e non può essere esaurito da esso. Da un altro lato i saperi sono costruzioni che cercano, da punti di vista diversi, di esplorare l’oggetto attraverso un movimento che, con Husserl, si potrebbe definire ancora una volta nei termini della dialettica tra Kern e Abschattungen. Non esiste perciò, per fare un esempio che riguarda l’argomento di cui si sta trattando, un oggetto univocamente definibile come “psiche” nettamente distinguibile dalle idee e dalle visioni del mondo entro le quali esso si colloca. Esiste l’uomo nella sua complessa unità.
  • c) La dimensione degli affetti è stata oggetto di analisi e di intervento da parte della filosofia fin dai suoi esordi: Platone, Aristotele, le scuole ellenistiche e tardo–antiche, la filosofia cristiana, Cartesio, Spinoza, le filosofie settecentesche dei sentimenti, persino Hegel, e poi Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Bergson e la fenomenologia novecentesca nelle sue molteplici varianti e nei suoi sviluppi, Heidegger, le filosofie “al femminile” e così via. Non c’è motivo per cui, di fronte alle legittime pretese conoscitive della psicologia, la filosofia debba rinunciare a uno dei suoi tradizionali oggetti di riflessione (e di intervento). Ricordiamo sempre la lezione di Hadot.
  • d) Non dimentichiamo infine che forse si dovrebbero distinguere tra loro la psicologia e le psicoterapie. Entrambe, ma sicuramente in maggiore misura le psicoterapie, utilizzano concetti, definizioni, schemi interpretativi e persino forme di intervento molto spesso di origine filosofica o letteraria (la letteratura rappresenta un serbatoio inesauribile di materiale descrittivo e interpretativo dell’esistenza umana). Spesso inconsapevolmente, talvolta consapevolmente, quasi sempre senza dichiararne la provenienza (un’eccezione, in questo senso, è rappresentata da Lacan).

Conclusione: il counseling filosofico deve porre al centro della sua riflessione e del suo intervento la sfera affettiva, e non può non farlo. Lo può e deve fare a diversi livelli.


Prof. Enzo Novara, Docente Master in Counseling Filosofico

A un primo, basilare, livello il counseling filosofico può trattare gli stati emotivi come segnali. All’interno del dialogo tra counselor e consultante avviene che il secondo manifesti di fronte a un problema, all’interno del discorso, uno stato emotivo evidente e intenso.

È chiaro che le parole che sta utilizzando, e i contenuti che sta comunicando o su cui sta riflettendo, sono in questo caso carichi di significato, magari ancora non del tutto, o per nulla, indagato. Su queste parole, e su questi contenuti, il counselor non può non soffermarsi e aprire un dialogo. Non trattando direttamente gli stati emotivi, ma focalizzando invece l’attenzione proprio su parole e contenuti.

A un secondo livello il counselor, se lo ritiene opportuno, può trattare direttamente lo stato emotivo e farne l’oggetto di una interrogazione e di una riflessione in comune. Quando? Quando questo può costituire una via di accesso alla visione del consultante e dunque può tramutarsi in un motore per l’azione di chiarificazione e di trasformazione del suo mondo.
Ma perché interrogare l’emozione stessa, se l’obiettivo del counseling filosofico è fondamentalmente quello di chiarire le idee e le valutazioni implicite, i frammenti di visione del mondo, le loro eventuali contraddizioni e incongruenze? E inoltre: come sviluppare questa interrogazione?

Prof. Enzo Novara, Docente Master in Counselor Filosofico

Emozioni, esistenza, visione del mondo

Alla prima domanda si può rispondere richiamando quanto Heidegger afferma in Essere e Tempo nel celebre paragrafo 29. In questa parte dell’opera l’essere-nel-mondo del Dasein viene analizzato dal punto di vista del suo in-essere: in che cosa consiste il Ci dell’Esserci, il Da del Da-sein? Si tratta di un passaggio fondamentale dell’analisi, che da un lato si lega a quanto già emerso intorno al mondo (che cos’è il mondo dell’essere-nel-mondo) e al Chi (chi è il soggetto dell’essere-nel-mondo), e dall’altro prepara il terreno alla determinazione dell’essere dell’Esserci come Cura:


“Nel suo essere più proprio questo ente ha il carattere della non-chiusura. L’espressione ‘Ci’ significa appunto questa apertura essenziale. Attraverso essa, questo ente (l’Esserci) ‘Ci’ è per se stesso in uno con l’esser-ci del mondo”.

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All’interno di una filosofia dell’esistenza, cioè di una filosofia che intenda essere utile alla vita, nel descriverla con fedeltà e attenzione e nel guidarla con apertura, non può essere eluso il compito di trattare questa dimensione.
Recuperare la vita affettiva reintegrandola nella riflessione significa recuperare l’uomo nella sua integrità e nella sua globalità. Significa andare alle cose stesse, individuando relazioni e distinzioni; significa accettare la complessità, cioè ricercare l’unità del molteplice, senza cancellare nessuno dei due poli, perseguire l’unità dell’uomo consapevoli che questa unità non potrà però mai essere espugnata, ma resterà, come le idee in Kant, un polo regolativo della ricerca, un inesauribile noumeno, o, come indica il concetto di Umgreifende in Jaspers, l’orizzonte della totalità entro la quale ci si muove, ma che non può essere mai completamente definito.
Affrontare filosoficamente la dimensione emotiva dell’uomo, facendone oggetto di studio e di pratica filosofica, significa peraltro perseguire l’obiettivo di un pensiero critico, che rifiuta l’approccio riduzionistico della semplificazione e della dissoluzione del complesso in una mera somma di elementi irrelati, così come della reductio ad unum. Le visioni unilaterali dell’uomo sono certamente false, ma soprattutto costituiscono un pericolo, perché molto spesso vengono utilizzate come strumento di controllo e di potere: si pensi, ad esempio, all’idea di “homo oeconomicus”, imperante nella società occidentale almeno a partire dal Settecento, che altro non è se non la realizzazione del progetto politico di produrre un “uomo ad una dimensione” (Marcuse)

La sfera emotiva non può essere cancellata dall’orizzonte della riflessione filosofica e non si può neppure delegarne l’analisi a saperi che, nell’ottica della specializzazione, potrebbero smarrirne il significato più ampio: esistenziale, culturale, storico. Poiché gli stati emotivi si costituiscono e si muovono proprio entro questi contesti più globali: quello dell’esistenza (con le sue connotazioni temporali e di significato individuali), quello culturale (all’interno di giochi linguistici e di tradizioni ermeneutiche), quello storico (in riferimento a comunità spazio-temporalmente determinate).

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Estratto dalla Nuova Rivista di Counseling Filosofico /18




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