Problemi e prospettive di Filosofia Applicata alle questioni lavorative .
2. Il ruolo del Counselor Filosofico
Problemi e prospettive di Filosofia Applicata alle questioni lavorative .
2. Il ruolo del Counselor Filosofico
La logica della razionalità individualistica e strumentale è sovente considerata non solo come valida in campo economico e lavorativo, ma come adatta per comprendere gli affetti, lo studio, i sentimenti, l'impegno personale, addirittura la famiglia e la sessualità. Il risultato è che "nella sua determinazione a vedere solo ciò che entra in calcoli utilitari la mente economica è cieca; cieca rispetto alla ricchezza qualitativa del mondo percepibile; rispetto alla separatezza delle persone, al loro mondo interiore, alle loro speranze, alle loro passioni e ai loro timori; cieca rispetto a ciò che vuole dire vivere una vita umana e tentare di conferirle un significato umano. Cieca, soprattutto, rispetto al fatto che la vita umana è qualcosa di misterioso e di estremamente complesso, qualcosa a cui occorre accostarsi con le facoltà della mente e le risorse del linguaggio adatte all'espressione di una tale complessità" (Nussbaum 1995, p. 46).
Compito primario del Counselor Filosofico è rispettare, quindi riconoscere e valorizzare, il mistero e la complessità della vita umana.
Anche (soprattutto), recuperando mistero e complessità nelle dinamiche lavorative. E favorire l'esplicitazione di presupposti logici ormai diventati pressoché assiomatici e sui quali si regge un'intera concezione del vivere. Che pare aver dimenticato di essere per l'appunto una concezione, una tra le tante possibili. E che ha determinato lo schiacciamento del lavoro sull'asse economico.
Intervenendo direttamente sull'interpretazione delle dinamiche di lavoro il Counselor Filosofico, in sintonia con i presupposti epistemologici del Counseling Filosofico, può favorire una ricerca di percorsi al ternativi di senso, allargare, ampliare, far prendere consapevolezza, confrontare, aiutare a scoprire nuove idee nuovi linguaggi, per aiutare nel disegno di panorami alternativi del vivere e dell'agire lavorativo.
Il Counselor Filosofico è chiamato ad affrontare, tra le altre, due grandi sindromi ciclopiche.
- La tristezza ciclopica, ovvero il lavoro privo di desideri
Chi in questo inizio di terzo millennio frequenta il mondo del lavoro lo vede tristemente, drammaticamente sordo alle domande, spesso inespresse, di tutti col or o che in esso vorrebbero trovare o costruire un senso più largo, un futuro meno misero, una qualche
prospettiva esistenziale.
Occorre allora riscoprire la polifonicità del lavoro, dare adesso nuove occasioni di pensabilità, renderlo, sia pure accanto ad altre attività umane, un luogo eutopico, davvero degno di essere vissuto.
Vissuto, si badi! Non occorre proporsi di liberare il lavoro, piuttosto sarebbe opportuno ispirarlo, renderlo un luogo meno triste e più adatto alle peculiari caratteristiche dell'esistenza umana.
Il vero compito della filosofia, che etimologicamente e amore, desiderio anelito alla onoscenza, è produrre, scatenare desideri.
Desideri, non voglie o vogliuzze, desideri addomesticati e banalizzati.
Il desiderio ha a che fare gli spazi siderali, con le stelle, con qualcosa di alto, a cui si guarda, a cui si tende in cui si spera.
Senza desideri l'esistenza si riduce a semplice sopravvivenza, l'esistere all'elaborazione di semplici, utili, funzionali risposte ad una vita in perenne emergenza e priva di un futuro verso cui dirigersi.
La sfida che il Counseling Filosofico, può (deve?) lanciare a mondo del lavoro è quella di promuovere in esso "spazi e forme di socializzazione animati dal desiderio, pratiche concrete che riescano ad avere la meglio sugli appetiti individualistici e sulle minacce che ne derivano" (Benasayag, Schmit 2004, p. 63). Per costruire un mondo meno schiavo di un pensiero della crisi quale è l'economicismo utilitaristico, meno contratto, quindi più libero, complesso, articolato, ricco, e perché no, più vero e gioioso.
Il Counseling Filosofico applicato alle dinamiche lavorative può rendere il sistema lavoro più saggio, meno affondato nella sua banalità. Può d'altronde rendere coloro che lavorano capaci di scendere nelle profondità del proprio fare, può mettere in grado di rapportarsi ad esso da una prospettiva più "critica, ampia e profonda" (Lahav 2004, p. 83).
Il Counseling Filosofico può aiutare a cogliere criticamente i presupposti di pensabilità dell'attività lavorativa, aiutando chi lavora ad esporli, indagarli e a non passivamente adagiarsi su di essi; può supportare nell'elaborazione di una serie di modi alternativi di vivere la dimensione lavoro; può offrire spunti e occasioni per vitalmente confrontarsi con quel grumo di idee e di principi che costituiscono le condizioni per comprendere nella sua intima essenza il senso del proprio fare.
- La separatezza ciclopica, ovvero il lavoro disgiunto dall'esistenza umana
Dove vivono i ciclopi? Trascorrono il loro tempo isolati, nelle loro spelonche. Come ci si comporta con i ciclopi? In primo luogo li si tiene a distanza, li si isola, per limitare i pericoli e i possibili danni.
Perché - si chiedono in molti - tentare di rendere il lavoro un luogo di desideri, perché addirittura sforzarsi di far sì che esso desideri? Perché cercare di renderlo agire rivelativo? Perché farne occasione di ricerca esistenziale? Non abbiamo a disposizione per tutto ciò la vita "fuori", e cioè le sfere affettive, sociali, politiche?
Per alcuni l'idea di lavoro sembra incompatibile con le altre dimensioni dell'esistenza umana. Il rischio di mischiare vita e lavoro, si pensa, è di sottomettere a logiche produttivistico mercantilistiche qualcosa che ne è estraneo.
"Esistono delle attività la cui finalità è diversa dal produrre, dal trasformare: passare del tempo con i propri figli o educarli non è un lavoro ' amare non è un lavoro, partecipare alla vita democratica non è un lavoro, giocare, sognare, scrivere non sono lavoro" (Meda 2004, p. 28-29, traduzione mia).
Per timore di inquinare con il lavoro ciò che lavoro non è, si finisce allora per ghettizzare l'attività lavorativa, per ritagliare ad essa un asettico spazio concettuale, definendola semplicisticamente , attività umana coordinata, remunerata, consistente nell'indirizzare delle capacità al servizio altrui, in maniera indipendente o sotto la direzione di un altro, in cambio di una contropartita monetaria" (Meda 2004, p. 30, trad. mia).
Che tristezza e che trappola esistenziale! Certo, educazione, affetti, partecipazione politica non sono lavoro, ma l'errore, davvero macroscopico e pericoloso, è devitalizzare il lavoro, pensarlo come se, nelle sue dinamiche e nelle sue logiche, potesse fare a meno di quei valori etici e di quelle espressioni umane che sono in gioco quando educhiamo i nostri figli, quando ci relazioniamo affettivamente con qualcuno, quando partecipiamo ad un'impresa comune, quando ci impegniamo ad esempio nelle attività sportive o di volontariato. Così facendo, si sradica il lavoro dalla complessità dell'esistere, lo si avvilisce, lo si esilia dalla vita. Lo si condanna ad essere semplice momento produttivo governato da forme di bieco utilitarismo.
Consideriamo in particolare la partecipazione politica. In molti pensano: che cosa ha a che fare con il lavoro un'attività così nobile come partecipare alla determinazione delle condizioni di vita comune? La partecipazione politica, sostiene ad esempio Dominique Meda, è di una logica radicalmente diversa del legame materiale che induce gli uomini a cooperare per la sopravvivenza.
Certamente la dimensione politica è diversa dal lavoro, ma non per questo i valori ad essa sottostanti debbono essere considerati estranei al lavoro. Il legame materiale e la contropartita monetaria non esauriscono i significati dell'agire lavorativo! La diversità tra il lavoro e le altre sfere dell'esistenza non deve far dimenticare quanto l'agire politico, affettivo, educativo, partecipativo e l'agire lavorativo dovrebbero obbedire ad una medesima ricerca etica finalizzata ad identificare le condizioni per una vita buona.
* Dr. Alberto Peretti
È Filosofo del Lavoro, dal 1990 si occupa di formazione e di consulenza organizzativa, con particolare attenzione ai temi della comunicazione e della valorizzazione della persona in ambito professionale. Dal 2001 al 2012 è docente di Counseling Filosofico lavorativo e di Filosofia del lavoro presso la Scuola Superiore di Counseling Filosofico di Torino.
Nel 2003 apre ad Ivrea uno studio di Counseling Filosofico.
Nel 2015 fonda e coordina la Società di Consulenza Genius Faber , specializzata nella valorizzazione dell’italianità lavorativa e del lavoro made in Italy.
Tra le sue pubblicazioni:
Il dubbio di Amleto. Il gioco come modo di pensare, sentire, agire (2001, Edizioni dell’Orso);
I giardini dell’Eden. Il lavoro riconciliato con la vita (2008, Liguori);
La sindrome di Starbuck e altre storie. Il lavoro attraverso la letteratura (2012, Guerini e Associati);
Genius Faber. Il lavoro italiano come arte di vivere (2015, Ipoc).