Concetti e considerazioni Filosofiche intorno alla Felicità

Considerazioni Filosofiche intorno alla Felicità

Estratto dall’intervento di Hansjörg Reck al Convegno Nazionale SSCF - SICoF.
Traduzione dal tedesco di Sonja Bader.
di: Prof. Hansjörg Reck *

Prima parte | Seconda parte

Nella mia relazione, in un primo momento parlerò di alcuni detti sulla felicità. In seguito tratterò delle esperienze di felicità in psicoterapia. Un terzo momento è diviso in due piccole parti:
a) raccomandare attenzione circa le promesse di guarigione e di felicità
b) tematizzazione della felicità cercata e trovata nel percorso di una vita umana.
Nella quarta parte, poi, si parlerà della felicità come dono.

1. Parlare della felicità

Con parole e suoni esprimiamo il nostro sentimento di felicità e così anche il nostro punto di vista in merito. Noi definiamo qualcosa “felicità/fortuna” (il termine utilizzato in tedesco, “Glück”, include entrambi i significati, ndt.), ma questa stessa felicità ci ha prima parlato o guardato, l’abbiamo conosciuta e siamo stati chiamati a corrisponderla: questa è la nostra sfida.

Il titolo del mio discorso “Concetti e Considerazioni intorno alla felicità” implica un’accettazione e una doppia prospettiva: da noi alla felicità e dalla felicità a noi.
Di conseguenza, consideriamo prima luoghi comuni ed esperienze e anche l’idea di felicità di alcuni poeti e pensatori.
Ci auguriamo la felicità: per il compleanno, per il capodanno, consapevoli che non si adempieranno tutti gli auspici. Per un esame superato, auguriamo la fortuna. Sentiamo che “la felicità si trova per strada”, ossia lì dove può essere raccolta o persa tutti giorni. Abbiamo avuto fortuna nel gioco e nel tentativo di trovare dei biglietti d’ingresso. A un esame, in un incidente, abbiamo avuto una “fortuna favolosa”, ossia una fortuna che sembra venire dal mondo delle favole, quasi impossibile da esprimere, ma che allo stesso tempo richiede di essere nominata. E guardiamo più fiduciosi al futuro, quando fortunatamente “vediamo di nuovo l’orizzonte”.

Esperienze di felicità e pratiche filosofiche

Ci ricordiamo i nostri giorni d’infanzia e le prime amicizie e crediamo che le prime tracce della nostra felicità si trovino lì. Esperienze di felicità: nel gioco, nell’avventurarsi, nell’abbandonarsi, nel regalare, nell’esprimere, nel poter dare parola alle cose, nell’amore.


Ci chiediamo: Che cos’è la felicità? Nel dizionario etimologico leggiamo che la felicità sarebbe un buon destino, una buona fine, un modo in cui qualcosa si sviluppa e si concretizza e che la parola deriva dal tedesco arcaico g(e)lücken, “gilinge”, ossia in italiano riuscire, riuscito. Continuiamo allora a chiederci in che modo l’uomo può contribuire e che cosa si deve far regalare per essere felice, quando accade.

Distinguiamo una situazione di vita “esteriore” - legata a sicurezza, al benestare, alla salute - e uno stato d’animo “interiore”, condizioni che non devono necessariamente essere congruenti: il ricco non è sempre felice. Avere fortuna nella disgrazia non significa per forza essere felici. Come dice Rousseau, la felicità – a differenza dalla soddisfazione – non ha alcun segno esteriore. Accade all’improvviso, è lunatica, spesso soltanto di breve durata. Tanto più è comprensibile una corsa alla felicità, ossia a quello che “si” considera come felicità. O un aspettare, che altre persone o poteri superiori ce la consegnino.

Feste pubbliche come il circo e le sagre, l’arte, la scienza e la religione, i media, la lotteria, l’alcool e le droghe possono essere percepiti come “portafortuna”. Invece una felicità che si annuncia per tempo vuol dire un attimo felice, che può essere colto solo da noi stessi, con il nostro impegno; e per questo sono d’aiuto i nostri talenti naturali e le occasioni.

Filosofia, armonia e Felicita

Il medico tedesco Arthur Jores sottolinea che l’uomo percepisce sentimenti di felicità “quando è in sintonia con quello che ci si aspetta da lui, quando riesce a realizzare il suo essere uomo”. In quale ambito faccia questa attività non importa, piuttosto importa “che la cosa si fa per sé”: questo porta anche il segno della bellezza.
Anche Goethe era dell’opinione che “chi fa con gioia le cose e si accontenta di ciò che ha fatto è felice“ e che “la felicità suprema è quella che migliora i nostri difetti e compensa i nostri errori”. La felicità vuole essere percepita ma non cercata. Anche questo sapeva Goethe e l’ha esplicitato in questa poesia che è intitolata “Trovato”.

Nella cantata per solista soprano intitolata “Ich bin vergnügt mit meinem Glücke” (“Sono felice della mia fortuna” - BWV 84), il testo e la melodia fanno apparire la felicità come una soddisfazione raggiunta già in terra, ma sempre in relazione con la promessa di grazia divina, coerentemente con la fede cristiana di Bach. Diversamente dalla cantata dal titolo “Wo gehest du hin?” (“Dove vai?” - BWV 166), in cui nell’aria per contralto si mette in guardia rispetto al cielo: “Man nehme sich in acht/ Wenn das Gelücke lacht./ Denn es kann leicht auf Erden/ Vor abends anders werden, als man am Morgen (noch) nicht gedacht”. (“Bisogna stare attenti/ Quando la fortuna ci sorride/ Perchè facilmente sulla terra/ può cambiare prima della sera ciò che si era pensato la mattina”).
Allora è la seduzione del mondo? La dipendenza dal mondo stesso? La temuta punizione divina che mette la felicità in questione e la fa oscillare? O, invece, è una felicità del tutto diversa? Libera dalle aspettative e dai timori?

Già 300 anni prima di Cristo il filosofo Epicuro ci insegna:

  • Non aspettarsi dagli dei un’equa partizione del bene e del male
  • Non temere la morte più della vita
  • Riconoscere la felicità come bene supremo che allontana i dolori fisici, l’ansia e l’inquietudine dell’animo, ovvero porta alla loro rimozione. Prepararsi ad essa per tempo, dà in premio la beatitudine.
  • La felicità richiede uno stile di vita saggio, come d’altra parte è solo possibile con la felicità.
  • Nella scelta giusta dei piaceri, ci aiuta la natura, che ha reso il necessario facilmente raggiungibile, il superfluo difficile da ottenere. La libertà diventa così “il frutto migliore della moderazione”.

Ma la Felicità non si trova in un unico sussulto di ebbrezza. L’armonia in un’opera d’arte può rendere felice la nostra anima, soprattutto nella musica e nella poesia, manifestandosi nell’alternanza di dissonanze e consonanze. Così anche la varietà della natura e la sua armonia che, nonostante la ribellione degli elementi nel morire e rinascere, si ritrova sempre, nella sua “fertilità” (un altro termine per la parola latina e italiana “felicitas”).

Coriando parla di un “suono armonico dell’uomo nella natura” (“Ein-klang von Mensch und Natur”) e mostra tramite le ultime poesie di Hölderlin come “la natura si manifesta in tutto il suo splendore nell’anima, con un’essenza che però rimane inaccessibile a uno sguardo teoretico e razionale” (“die Natur...im Gemüte als die Stimmungen des Jahreskreises...in ihrem eigensten...Aufgehen zeigt, das jedem nur feststellenden theoretischen Betrachten und Ermessen wesenhaft unzugänglich bleiben muss”). Questo suono armonico contiene come Grundstimmung - ossia stato d’animo di base – “diversi umori”. Però, soltanto in questo suono armonico si formano le coordinate dell’umore riguardo a pesantezza e leggerezza, a felicità e tristezza nel senso comune” (“die stimmungsmäßigen Koordinaten für Schwere und Leichtigkeit, für Glück und Trauer im gewöhnlichen Sinne”).

La Felicità di base non è né leggerezza né pesantezza, né gioia, né dolore nel senso comune (“weder Leichtigkeit noch Schwere, weder Freude noch Schmerz in gewöhnlichem Sinn”), ma è, in un senso più originario, tutte queste qualità insieme (“in einem ursprünglicheren Sinne beides zumal”.) Ed è così anche non una pura assenza di tristezza e di dolore, non una felicità incosciente, ma un poter afferrare entrambi, la gioia e il dolore in una cosa superiore - l´ethos poetico.

Solo nella tristezza la cosa più lieta trova parola (come sostiene Hölderlin in “Sophokles”). D´altro canto la fortuna è più difficile da sostenere che la sfortuna (come sostiene Hölderlin in “Der Rhein”): sembra un paradosso per il nostro senso comune, ma secondo Heidegger non è così lontano dal centro e dall’essenza dell’essere. Questo è al centro del lavoro del poeta e del filosofo.

La perfezione è nel congiungimento di due elementi divini così diversi come il dionisiaco e l´apollineo; e forse solo un saggio è capace di raggiungere questa perfezione (cfr. Guardini, 1955, p.75 e seg.).

che cos’è la felicità

La perfezione è nel congiungimento di due elementi divini così diversi come il dionisiaco e l´apollineo; e forse solo un saggio è capace di raggiungere questa perfezione (cfr. Guardini, 1955, p.75 e seg.).

Ma quello che ci unisce e quello che ci divide potrebbero essere importanti in ogni rapporto, soprattutto in quello terapeutico. Felicità è soprattutto: la nascita, la salvezza di un uomo, la comprensione, l’armonia nell’incontro con un’altra persona.

Bettina von Arnim (1982, p. 110) ci affida col titolo “Glück” Un segreto: “se due stanno insieme e il genio divino regna tra di loro, questa è la massima felicità”.


Seconda parte


#
* Prof. Hansjörg Reck

Specialista in neuropsichiatria infantile, psicoterapeuta esistenziale, membro del Österreichisches Daseinanalytisches Institut e docente di analisi esistenziale a Costanza, Vienna e Zurigo.