Nuova Rivista di Counseling Filosofico N°14 | Dr.ssa Ada Moretti
Abstract
Filosofia e medicina affrontano spesso gli stessi grandi temi relativi all’uomo. La riduzione dell’arte medica alla tecnica e la deriva accademica della filosofia hanno tuttavia allontanato entrambe le discipline dalla sfera esistenziale. Ciò ha inciso negativamente sia sui pazienti, sia sui medici stessi – per quanto riguarda questi ultimi, a causa del fatto che la loro identità professionale è strettamente intersecata con quella personale.Sulla scorta di queste riflessioni, nell’articolo sono presentati quattro casi di counseling filosofico con consultanti medici, che affrontano quattro temi diversi: la relazione con il paziente; una ricognizione a tutto tondo sulla professione; il senso dell’aiuto all’Altro insieme all’uso delle emozioni nella relazione terapeutica; la gestione del tempo personale e professionale.
Infine, a partire dai quattro casi esposti sono raccolti i fattori protettivi e di rischio relativi al disagio professionale in medicina e vengono tracciate le relative linee d’intervento offerte dal counseling filosofico in ottica preventiva e risolutiva.
Parole chiave: counseling filosofico – medicina – disagio professionale
Introduzione
Filosofia e medicina si incontrano sul terreno comune dell’uomo, che in entrambe le discipline riveste il duplice ruolo di soggetto e oggetto. Questa realtà apparentemente incontestabile si rivela problematica al giorno d’oggi, perché sia la medicina che la filosofia hanno preso strade molto diverse rispetto ai loro percorsi originari.La filosofia, infatti, da arte della vita e della saggezza si è progressivamente trasformata in materia accademica avulsa dalla sfera esistenziale; la medicina, dal canto suo, è stata via via assorbita dalla tecnica, che attualmente la domina scotomizzando quel fattore umano che la connotava originariamente.
Eppure queste discipline rappresentavano inizialmente due facce della stessa medaglia: «La domanda su come e che cosa curare rinvia dunque alla questione fondamentale, che è stata il vero e proprio “fuoco” intorno al quale è ruotata tutta la nostra indagine: che cosa è l’uomo?
Fin dalle loro origini medicina e filosofia si sono fatte carico della questione fondamentale, perché solo rispondendo ad essa è possibile prendersi cura nel modo più efficace dell’uomo, e quindi anche curarlo, dato che il “curare” è una modalità del ed è fondato sul “prendersi cura”.
Sia la medicina che la filosofia si gioverebbero quindi del recupero di una dimensione autenticamente umana, in una prospettiva di sostegno e di potenziamento reciproco.
Filosofia e medicina
Vertendo entrambe sull’uomo, filosofia e medicina condividono molti temi esistenziali.Vita e morte. Questi concetti rappresentano due facce della stessa medaglia. Finché la medicina ha avuto scarse possibilità di contrastare o ritardare il decesso, la morte è rimasta un tema prevalentemente filosofico. Ai nostri giorni, invece, la tecnica medica consente di posticiparla notevolmente; inoltre la definizione di morte è divenuta molto più precisa.
L’evento del morire è così stato trasferito dalla sfera soggettiva e filosofica a quella oggettiva e scientifica.
Tuttavia, la possibilità di mantenere in vita il corpo biologico anche in assenza di tutto ciò che determina la presenza della “persona” scinde di fatto la morte biologica da quella del soggetto in sé, riproponendo quindi il tema filosofico di cosa renda ogni individuo vivo e unico.
I progressi tecnici in medicina hanno inoltre risvolti importanti, in senso filosofico, a proposito del concetto di valore della vita. La tecnica odierna consente infatti la sopravvivenza anche per patologie che in precedenza portavano alla morte; ma esiste un limite oltre il quale la vita non merita più di essere vissuta? E quale valore ha la vita del caregiver, spesso sacrificata per sostenere quella del malato?
Malattia.Anche per la malattia valgono molte considerazioni già fatte per la morte; tuttavia essa presenta una caratteristica peculiare: l’interruzione del flusso di vita è temporanea e contempla la previsione di un ritorno all’esistenza “sana”.
A questo proposito si presentano due problemi tra loro correlati: la gestione del periodo di malattia come fase di sospensione della partecipazione alla vita attiva (con perdita della parte di identità legata al ruolo lavorativo e sociale) e il successivo rientro nel mondo dei “sani”, con conseguente riconfigurazione ex novo di questa identità.
Considerando che uno dei principali interlocutori del malato, in senso identitario, è il medico, si comprende quale importanza abbia la capacità di quest’ultimo di rapportarsi al paziente in un’ottica profondamente umana.
Tempo e speranza. La malattia e la morte costringono a fare i conti con il limite temporale dell’esistenza, dimensione filosofica per eccellenza che dimostra l’impossibilità dell’uomo di disporre del proprio destino ultimo.
Sono molteplici i tipi di tempo che occorre gestire in medicina: il tempo perduto o mancato del malato; il tempo negato dalla morte; il tempo donato dal medico per la cura dei suoi pazienti; il tempo personale sottratto al medico stesso, proprio per essere donato a chi soffre.
Identità. Strettamente correlato al tema del senso è quello dell’identità: chi è il malato? Una persona in una fase della vita con peculiari caratteristiche o un soggetto senza individualità alcuna (il “numero” del suo letto d’ospedale)? La sua dimensione umana è la stessa di quella del medico che lo cura, o essi appartengono a due mondi (almeno temporaneamente) diversi?
La crisi identitaria, inoltre, non riguarda solo i pazienti, bensì anche i medici, cui la professione non garantisce più la possibilità di riconoscersi nel ruolo, come invece avveniva un tempo.
Relazione. Poiché la medicina è rappresentata, di fatto, da un uomo che cura un altro uomo, il suo fondamento è inevitabilmente relazionale e si estrinseca nella realtà dialogica (verbale e non) fra medico e paziente.
Questo rapporto non è accessorio, bensì fonda la cura.
La connessione che si crea tramite il dialogo pone infatti medico e paziente sullo stesso piano, cosicché sia possibile per entrambi entrare in contatto sulla scorta del comune destino umano che implica la fragilità intrinseca alla condizione esistenziale.
Senso. Presente in ogni ambito umano, il problema del senso filosofico non manca certo nella pratica medica. È infatti forse solo in medicina che la domanda “perché?” si ripete tanto spesso quanto in filosofia.
La ragione più radicale di questa coincidenza risiede nel fatto che entrambe le discipline si confrontano in modo integrale con il limite umano.
È quindi fondamentale che filosofia e medicina mantengano tra di loro uno stretto contatto e una comunicazione di contenuti, così da consentire un reciproco nutrimento.
“Fare” il medico o “essere” medico?
Poiché il medico mette in campo, nella professione, tutte le dimensioni che afferiscono alla sua umanità, è inevitabile che l’identità professionale e quella personale siano in lui strettamente intersecate. Nel momento in cui esercita la medicina, infatti, il medico usa come principale strumento se stesso.
Ne deriva che i disagi che si manifestano nella sfera professionale abbiano spesso un forte impatto anche su quella personale, incidendo notevolmente sulla qualità della vita.
Su questa realtà vige un tabù difficile a venire meno: è infatti convinzione comune che il medico sia innanzitutto un dispensatore impersonale di cure; inoltre, anche nel caso in cui il coinvolgimento emotivo possa causargli un certo senso di disagio, non solo esso è spesso sottostimato, ma si ritiene che i vantaggi storicamente associati alla professione – principalmente il prestigio sociale e l’agiatezza economica – lo compensino ampiamente. Ciò alimenta il senso di rivalsa nei confronti dei medici, il quale causa un deterioramento profondo della relazione medico-paziente che a sua volta rinfocola il disagio stesso, in una spirale perversa.
Non bisogna poi dimenticare che, oltre al rapporto con i pazienti, per il medico vi sono anche altre cause oggettive di malessere: prima fra tutte il sovraccarico di lavoro, ma anche la scarsa considerazione in senso umano da parte dei soggetti istituzionali, la burocratizzazione, l’attribuzione di mansioni estranee ai propri campi di specializzazione e di interesse e lo sfilacciamento del senso di “gruppo” con i colleghi.
All’estremo di questo disagio si situa il cosiddetto fenomeno del burnout, nei confronti del quale lavorare in un’ottica preventiva è fondamentale.
La prevenzione dovrebbe essere rappresentata sul versante sociale da interventi istituzionali che consentano di invertire la rotta nell’impostazione del lavoro degli operatori sanitari e sul versante individuale (degli operatori stessi) da una presa di consapevolezza di sé in termini di aspettative, punti di forza, fragilità, limiti e risorse.
Infine vi è una dimensione culturale che non può essere trascurata. È necessario, infatti, che dal paradigma paternalistico del medico autoritario e incontestabile si giunga a una visione della cura condivisa tra medico e paziente, nel reciproco rispetto di volontà e competenze, ripristinando il clima di fiducia che oggi è venuto meno.
Il counseling filosofico in medicina
Il counseling filosofico si configura come strumento ideale sia per prevenire i problemi e le difficoltà finora esposti, sia per risolverli una volta instauratisi.Il medico che non solo possegga gli strumenti filosofici per affrontare e risolvere i propri problemi professionali e personali, ma sia anche in grado di prevenirli efficacemente, può gestire al meglio la propria esistenza e fornire un servizio di cura migliore (umanamente e terapeuticamente) ai pazienti.
Di una rinnovata e virtuosa interconnessione tra filosofia e medicina si gioverebbero quindi sia i curanti, sia i malati.
E poiché, nella vita, ognuno di noi è prima o poi chiamato a ricoprire almeno uno dei due ruoli, una corretta impostazione di questi ultimi può influire positivamente tanto sul benessere del singolo quanto su quello della società.
Quattro percorsi di counseling filosofico con i medici
Di seguito sono esposti quattro percorsi di counseling filosofico da me condotti con consultanti medici, i cui nomi sono stati sostituiti dagli pseudonimi Simone, Giulio, Chiara e Stefano. [ ... ]Conclusioni e prospettive
La medicina ha bisogno di filosofia. Praticare una disciplina totalmente incentrata sull’uomo senza nutrirla con un’adeguata e costante riflessione sull’umano, come purtroppo oggi sta accadendo, può portare a disagi e a distorsioni di prospettiva che si fanno sentire nel singolo professionista e all’interno della relazione medico-paziente. In quest’ambito il counseling filosofico può essere utile sia come intervento preventivo, sia per aiutare a risolvere situazioni di malessere già in atto.Esso ha infatti – in medicina più che mai – il duplice scopo di aiutare il consultante ad avere una visione più chiara del suo problema e di se stesso e di contribuire alla soluzione del problema stesso, pur senza fornire risposte preconfezionate.
Inoltre esso pianta il seme della riflessione relativa all’uomo come strumento permanente per inquadrare la professione e svolgerla al meglio a beneficio sia del professionista stesso, sia del paziente.
Il counseling filosofico, infatti, lascia sempre al consultante qualcosa di più del mero intervento sul problema presentato: essendo la filosofia apertura e ricerca, esso rappresenta un percorso che non solo conduce a nuove risposte, ma apre anche a nuove domande, nell’ottica della promozione della saggezza esistenziale nel suo senso più ampio.
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