Abstract
La riflessione filosofica sul dualismo anima corpo e la descrizione della storia evolutiva del pensiero nell’ambito della grecità e della tradizione giudaico cristiana rendono necessario approfondire i temi sul corpo, in particolare in una epoca tecnologica come quella contemporanea.
La storia dei trapianti di organi solidi, iniziata nella seconda metà del secolo scorso, pone quesiti che necessitano di continuo confronto dialogico tra filosofi e medici su temi quali la morte cerebrale, la sospensione spazio temporale degli organi prelevati dal donatore prima dell’impianto, la trasposizione stessa dell’ ”altro” nei riceventi, la ripresa di funzione di organi che, prelevati da morti o da viventi, trovano nuova vita in altri esseri umani, spesso in procinto di morire per patologie fatali.
L’intreccio vita morte, identità propria e altrui, corpo “puzzle” di organi e insieme sintesi dell’ io mentale, rappresentano i misteri che, accettati senza la pretesa di tutto comprendere e svelare, ma fonte di dialogo continuo, alimentano la riflessione sul dualismo. Essa ha accompagnato la storia del pensiero e si arricchisce, nella nostra epoca ad alto tasso tecnologico, di valenze pratiche di osservazione in ambito trapiantologico, da cui deriva una analisi fenomenologica del corpo e della mente da molti angoli di osservazione pratici.
Parole chiave: dualismo – trapianto – identità - alterità
Il tema del dualismo anima e corpo ha attraversato la storia dell’essere umano in ogni ambito, umanistico, filosofico e religioso. La divisione è stata ed è ancora comunemente percepita come se fosse la verità. Siamo persuasi di essere composti da corpo e anima.
Cartesio ha fondato il proprio impianto filosofico sulla separazione delle sostanze, res cogitans ed extensa e ciò ha permesso la nascita della medicina moderna. Edmund Husserl mette in guardia dagli errori seducenti introdotti da Cartesio e Karl Jaspers afferma la non dimostrabilità dell’assunto dualistico, lasciando aperto “il problema di che cosa chiamiamo anima e che cosa corpo”.
Desiderando non assumere acriticamente come valido un impianto dualico, consolidato dalla tradizione del pensiero oltre che dagli insegnamenti religiosi, occorre ripercorrere il significato del perché e di come si sia storico-filosoficamente sentita la necessità di pensare l’uomo come costituito da anima e corpo e quali siano state le implicazioni e le derivazioni di tale impostazione. Da tale storia si potrà provare a comprendere il senso e la direzione della concezione dualistica dell’uomo. Senso e direzione che sono mutati di epoca in epoca e che continuano a evolvere e a porre quesiti e questioni irrisolti.
Le fonti della cultura occidentale sono la tradizione giudaico cristiana e quella greca.
Quest’ultima, prima di Platone, non aveva alcuna idea di anima. Omero pensava che l’uomo fosse corpo, immediatamente espressivo e non rappresentativo di un retroterra costituito da qualcosa di altro. L’uomo veniva descritto come corpo in rapporto al mondo, con certe modalità di percezione e di reazione, oltre che di apertura, a ciò che lo circonda. L’ira di Ulisse è espressa dalle braccia lorde di sangue, dalle cosce agili e forti. Ciò quindi non è rappresentativo di un’ira del retro corpo ma è l’ira espressa dal corpo stesso in quanto unità immersa nel proprio mondo, capace di percepire e di reagire al mondo. Omero può quindi essere letto come anticipatore di sensibilità fenomenologiche .
La nozione di anima viene introdotta da Platone. Il terreno di pensiero dove essa si sviluppa è terreno gnoseologico. Per il filosofo che ha dettato tutto l’impianto di pensiero occidentale una conoscenza universale non è possibile solo attraverso le capacità del corpo. Dunque l’anima come facoltà per conoscere e riconoscere la verità e il bene, lavorando per astrazione. Cosicché è Platone ad introdurre il concetto di anima in occidente, chiamandola “psyché”. Anima costretta nel corpo corruttibile, unica in grado di comprendere le idee, fondamento della possibilità di conoscenza. Ci si avvicina tanto più al sapere quanto meno si hanno relazioni con il corpo e comunione con esso. Bisogna liberarsi dal corpo per potere incontrare esseri puri e conoscere la verità.
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La lingua tedesca distingue due termini per indicare il corpo e cioè “Leib”, il corpo del mondo della vita, e “Körper” vale a dire il corpo medico. Il corpo organico ridotto a cosa, Körper-Ding, corpo-cosa. L’organismo può essere guardato come una cosa, ciò che non può accadere al corpo che ha un mondo, che ha pudore ad essere guardato e oggettivato. Quindi il corpo ridotto ad organismo, oggettivato e identificato come cosa, ha bisogno di un’anima, di un cogito. Il dualismo radicale si ripropone.
La moderna medicina, quindi, riducendo il corpo ad organismo e a sommatoria di organi rischia di perdere contato con il Leib, con il corpo del mondo della vita, con il corpo che ha un mondo, immerso nella dimensione soggettiva e non riducibile. Il corpo ridotto ad organismo che non si spiega senza la concezione dell’anima.
Da ciò, l’errata convinzione che il nostro corpo sia semplicemente organismo e il conseguente rifugio nell’anima, non dimostrabile, per dare senso e significato alla vita stessa.
Certò è che nella medicina si inizia nel Settecento ad osservare pazienti, quali i folli, il cui corpo non ha nulla di oggettivabile e la cui patologia è definita “morbus sine materia”. Nasce la psichiatria, come cura dell’anima.
Dell’anima si era detto quasi tutto, che esisteva e che non esisteva, che era mortale o immortale, connaturata o inserita al terzo mese del concepimento come sosteneva Tommaso. Da quel momento l’anima si poteva anche ammalare.
Il dualismo ha quindi condizionato il pensiero e la nascita del sapere scientifico e del metodo. Ancora profondamente lavora nelle nostre menti e, a conferma di ciò, si può citare il libro del Professor Thomas Starzl sulla sua vita e la sua opera, “Ai limiti del possibile”. Chirurgo che ha eseguito il primo trapianto di fegato nel 1963 e riconosciuto come il padre della moderna trapiantologia sottotitola la sua opera “The puzzle man”.
Circa cent’anni dopo Cartesio, Julien Offray de La Mettrie, medico e filosofo, aveva peraltro sviluppato una dottrina che estremizzava il concetto di organismo quale sommatoria di organi introducendo il concetto di uomo macchina e radicalizzando il riduzionismo in termini scientifici. Il corpo, disarticolato nelle sue parti ridotte ad ingranaggi di una macchina, perdeva il proprio essere immediatamente espressivo, rinunciando inoltre al proprio significato di bellezza e al proprio senso di libertà.
L’era attuale, tecnologica, impone una agenda di comportamento e di ricerca tesa sempre di più alla informatizzazione dei sistemi e alla bioingegneria, sicché l’uomo macchina del ‘700 evolve velocemente verso l’uomo digitale del prossimo futuro. La protesica di qualsivoglia settore, già oggi, dall’impianto al titanio in odontoiatria alle protesi articolari dell’ortopedia, dai sistemi elettrici pace-maker e defibrillatori della cardiologia alle applicazioni degli stimolatori in neurologia porta all’elaborazione mentale di organismi bionici per i quali tutto è migliorabile o sostituibile, nella cieca speranza di fuggire la sofferenza e la morte. L’identità stessa dell’essere umano viene messa sotto scacco dall’esplosione tecnologica, identità che si va trasformando in una percezione altra, in un diverso senso del sé, che si configura in dubbi e comportamenti obbligati che condizionano il significato stesso dell’esistenza. Da qui i progetti del post umanesimo e del trans umanesimo.
Edmund Husserl in “Meditazioni cartesiane” descrive che dobbiamo liberarci dagli errori seducenti introdotti da Cartesio e dai suoi successori.
La proposta è di superare il dualismo cartesiano con la visione fenomenologica, ritornando alle cose stesse, all’immediatezza del mondo della vita. Non relazione anima corpo, ma relazione corpo mondo. Il mondo della vita dove ritornare alle cose come appaiono nel momento in cui appaiono, sospendendo il giudizio e considerando l’assoluta intenzionalità della coscienza. Ciò in psicologia ed in psichiatria ha determinato profonde trasformazioni di concezione.
Ma se la fenomenologia non è un metodo terapeutico, ma un tentativo di comprendere, “verstehen”, l’essere umano, è possibile una riflessione in un campo dove corpo e anima, morte e vita si inseguono in un continuo fluire, perfettamente inseriti in una atmosfera squisitamente tecnica. Riflessione che apre una serie infinita di quesiti, per cui non esiste risposta, che spingono a speculazioni filosofiche affascinanti.
La storia dei trapianti di organi solidi ha inizio ben prima di quel 3 dicembre 1967 quando il Professor Christiaan Barnard traspose il cuore di Denise Darvall, di 25 anni, nel petto di Louis Washkansky di 58. La morte della donatrice, la rinascita del ricevente, la sospensione spazio-temporale dell’organo prelevato e impiantato accesero l’emozione e lo stupore del mondo intero per l’impatto che l’evento, diventato mediatico ante litteram, ebbe in quei giorni.
La storia del trapianto era però cominciata anni prima, nel 1959, quando Murray trapiantò il rene tra gemelli omozigoti e continuò nel 1963 con Hardy che portò a termine la prima procedura di polmone e Thomas Starzl che perfezionò il primo trapianto di fegato. Nel ’66 Lillehey operò il primo trapianto di pancreas. Ma solo il cuore, con tutto il simbolismo che esso trascina nella sfera emotiva degli esseri umani, fece prepotentemente balzare alla cronaca e alla coscienza collettiva tale pratica!
E dire che i Santi protettori dei chirurgi sono i Santi Cosma e Damiano, patroni di Alberobello e presenti come culto in tutto il Salento, che passarono alla leggenda per avere “trapiantato” l’arto del loro sagrestano nel 300 dopo Cristo. A testimoniare che nell’immaginario la sostituzione di una parte, di una funzione o di un organo occupano un posto preciso.
Ora, la trapiantologia in tutte le sue fasi stimola domande di carattere filosofico, e ad un dialogo che si fonda su una antropologia filosofica del corpo, della vita e della morte, della mente e dell’anima.
Il tempo del prelievo innanzitutto, che consiste nel prelevare un organo da un vivente o, più frequentemente, da un cadavere a cuore battente. La morte cerebrale è per la legge italiana la morte dell’individuo. La totale perdita delle funzioni corticali e della coscienza e contemporaneamente del tronco dell’encefalo, dopo un codificato tempo di osservazione e un’analisi clinica e strumentale condivisa, consentono di certificare la morte della persona, pur rimanendo gli organi vivi, perfusi dal cuore la cui attività non cessa. Il cervello come organo espressivo dell’identità stessa del soggetto. Nel frattempo il resto del corpo è vivo poiché il cuore non cessa la sua funzione e i polmoni vengono sostenuti dalle macchine. Ciò ci presenta una visione della morte non come evento, ma una visione che possiamo fare risalire agli studi di Marie Francois Xavier Bichat della morte come processo, cuore “ultimum moriens”. Nell’atto del prelievo vi è un tempo in cui al clampaggio dell’aorta segue la perfusione degli organi e il loro raffreddamento. Terminata questa fase gli organi vengono prelevati e inizia un secondo momento, di “ischemia fredda” dove la conservazione avviene tra gli 0 e i 4 gradi, con il liquido di perfusione che sostituisce il sangue, momento che ha una durata prevista utile tra le 6 e le 8 ore prima dell’impianto. Questo tempo descrive una sospensione della vita e della morte, tecnicamente ottenuta, in un simulacro di vita e di morte rappresentato dall’organo defunzionalizzato. La riflessione origina dall’osservazione del corpo, che appare ed è corpo morto perché morto il cervello, ma che dà origine con la tecnica a organi sospesi in un limbo temporale e in attesa di essere impiantati nel ricevente ove, sino alla riperfusione e alle ore che seguiranno, non si saprà se potere attribuire all’organo stesso funzioni vitali riattivate, e in un altro corpo.
Ogni considerazione di dualismo va sospesa nel giudizio poiché praticamente e pragmaticamente si procede con l’uomo, che appare come assoluta unità mente- corpo o anima-corpo, che non ha più un mondo e che, per atto di generosità, consente di ottenere in donazione parti di quel corpo, per dare nuova vita a un altro corpo dopo il trapianto.
Se fenomenologia, come è stato ricordato, significa comprendere l’essere umano, dedicarsi da chirurghi e filosofi pratici all’attività trapiantologica pone domande esistenziali.
Che cosa è davvero la morte cerebrale, nella sua osservazione come fenomeno, mentre la si osserva e si opera il corpo del donatore, alla luce di un dualismo che è di già superato nel momento stesso che il cervello, parte integrante del corpo, e solo quello, viene considerato morto e con esso inglobata l’identità stessa del donatore?
Che cosa comprendere del tempo sospeso di ischemia fredda, durante il quale il fenomeno della vita e quello della morte dell’organo sono immersi nel fenomeno fisico del freddo e nel fenomeno chimico del liquido di mantenimento?
Quali considerazioni fare quando l’organo donato viene infine trasposto in un ricevente che sta vivendo la fase terminale della sua malattia e che rinasce dopo il trapianto a nuova vita con una parte del corpo del donatore. In una condizione nuova, dove egli si percepisce come ospite accogliente “un altro”, o parte di esso, che spesso trascina con sé valenze filosofiche che vanno ben oltre la tecnica, la medicina, la malattia.
Cosa può realmente rimanere della concezione dell’anima immortale, in una trasposizione di organi e funzioni tra donatore e ricevente?
È probabile che in ambito trapiantologico ci sia lo spunto a riflettere, più che in altri campi della medicina e della chirurgia, sulla descrizione fenomenologica del corpo. Così il sistema “coscienza corpo” evidenzia un’osservazione particolare nel cadavere a cuore battente e il sistema “soggetto corporeo mondo” pone l’accento sull’organo che, defunzionalizzato, è nel mondo sospeso tra quello del Leib nativo e quello del Leib a cui presto apparterrà dopo l’impianto.
Infine l’io corporeo, come chirurgo di fronte agli altri, nell’atto di operare un cadavere con organi viscerali vivi, e di proseguire ad operare un simulacro di vita e morte che è l’organo prima del trapianto, già di fatto curando il ricevente. Quell’organo che ancora non gli appartiene. Da ultimo, nel sostituire un organo vitale nel ricevente, rispristinando quei collegamenti vascolari che ne strutturano funzione e appartenenza. Quali riflessioni fenomenologiche può proporre?
Antonio Damasio neurofisiologo portoghese naturalizzato USA sottolinea l’errore di Cartesio nella distinzione delle due “res”, poiché mente e corpo costituiscono unità funzionale e organica. In ambito trapiantologico un contributo all’analisi filosofica e fenomenologica è evidente. Nel trapianto si compiono la distinzione e l’interdipendenza reciproca, ad un tempo.
È interessante, per concludere, l’esperienza narrata da Jean-Luc Nancy, padre fondatore con Jacques Derrida del decostruzionismo, filosofo francese che è stato sottoposto ad un trapianto di cuore in seguito a miocardiopatia dilatativa. Cuore che in un suo successivo scritto definisce “L’intruso”, cuore dell’altro che lo tiene in vita, cuore che ha temporaneamente allontanato la propria morte che sarebbe sopraggiunta di li a poco, cuore che sente battere nel proprio petto. La domanda che viene posta supera ogni dualismo e penetra ancor più profondamente nell’uomo. Va oltre, nel chiedersi che cosa realmente siamo. Egli riflette che non siamo la nostra anima, la nostra psiche, spogliata della sua unità, frammentata in un io non “padrone in casa propria”, e forse non siamo neppure il nostro genoma considerando l’esplosione concettuale e culturale dell’epigenetica. Forse, vista la necessità di immunosoppressione che ogni trapiantato deve assumere per impedire al proprio corpo di “uccidere” l’intruso, che lo tiene peraltro in vita, siamo il nostro sistema immunitario, che ci riconosce e ci difende, ed è ciò che più intimamente è la nostra espressione. Senza pensare alle malattie autoimmuni, che aggrediscono il proprio io.
È assunto dell’uomo di sentirsi costituito di anima e di corpo. L’analisi genealogica e storica possono offrire spunti di riflessione sulle motivazioni filosofiche per cui oggi possiamo affrontare il problema nel superare il dualismo platonico cartesiano. La tecnologia, la medicina, la trapiantologia aprono nuovi scenari, in cui i significati oscillano e permettono di stimolare l’analisi fenomenologica di ciò che appare, senza pregiudizi, neppure di ordine scientifico, ma con mente (anima?) aperta al dialogo e al confronto.
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