Questo articolo riferisce di un‘esperienza sperimentale di Counseling Filosofico di gruppo con i genitori di adolescenti/studenti effettuata in un Liceo dell‘interland milanese.
Philosophy with parents: Il genitore «con-filosofo»
Come noto, i genitori sono parte integrante della scuola, almeno da quando sono stati introdotti nell‘istituzione scolastica i cosiddetti Decreti Delegati, emanati col D.P.R. 31/05/ 1974.
Troviamo così genitori nei consigli di classe o di interclasse, di istituto o di circolo, talora nel comitato genitori… Genitori che a volte entrano nella scuola come espressione di un ruolo (il rappresentante di, il membro del, il delegato…) e non come persone portatrici di un‘individualità specifica. La soggettività del genitore tuttavia emerge inevitabilmente quando un padre o una madre si trova in difficoltà di fronte ai suoi problemi di relazione con i figli, con gli insegnanti dei figli, con la scuola dei figli.
E così può capitare che scatti la richiesta di ricette comportamentali all‘esperto, la medicalizzazione del disagio, oppure la contestazione aprioristica della scuola, con un‘aggressività che spesso nasconde vissuti genitoriali di inadeguatezza, quando non di solitudine.
Ora, è possibile trasformare il problema in risorsa, ridando al genitore la fiducia in se stesso, valorizzando le sue capacità latenti, esplicitando le competenze nascoste, restituendogli responsabilità di fronte a sè, ai figli, alla scuola dei suoi figli? Ecco la scommessa che ha spinto all‘attuazione dei un corsi sperimentali di Philosophy with parents, attuata nel Liceo Linguistico e delle Scienze Sociali dell‘Istituto Erasmo da Rotterdam di Sesto San Giovanni (MI) nel 2009 e poi nel 2011. Il fine è stato quello di accompagnare due gruppi di genitori del triennio nella prospettiva dell‘imparare ad imparare (Bruner). Si è trattato in ambedue i casi di gruppi a numero chiuso di una quindicina di genitori ( costituiti in prevalenza da madri) perché insiemi troppo numerosi precludono la modalità del con-filosofare interattivo e riducono il counseling di gruppo alla lezione frontale dell‘esperto.
Si contraddirebbe in questo modo lo spirito di tale pratica filosofica, teso invece ad attivare quel filosofo potenziale che sonnecchia in ogni genitore, grazie all‘opera maieutica di quel filosofo in atto che è il counselor.
Il presupposto è che ogni persona ha in sé un poter-essere nascosto che da sola non riesce a percepire in quanto si trova in un momento di disagio esistenziale che le preclude la consapevolezza delle proprie potenzialità positive.
Ridurre il genitore ad oggetto passivo di insegnamento da parte dell‘esperto farebbe il gioco delle Disabling professions, ovvero di quegli Esperti di troppo di cui parla la nuova traduzione della trilogia scritta da Ivan Illich e da quattro suoi allievi sul tema della "disabilitazione".
Si tratta di quel fenomeno per cui, in seguito all‘emergere di alcune caste professionali, che a volte costruiscono un monopolio a partire da un lessico e da un insieme di procedure tecniche altamente specializzate ed incomprensibili alla gente comune, i cittadini vengono espropriati non solo della possibilità di agire per il proprio bene, ma addirittura della stessa capacità di decidere che cosa è bene per loro (vedi il recente caso tragico di cronaca delle vita vegetativa di Eluana Englaro). Potere che si manifesta nell‘atteggiamento di coloro che affidano la cura e il destino dell‘educazione dei figli o del loro rapporto di coppia ai "professionisti del settore", in una deresponsabilizzazione generalizzata che spinge il cittadino ad estraniarsi dallo stesso compito di prendersi cura di se stesso.
Non si vuol negare qui la patologia, né affermare che problemi gravi degli adolescenti e degli studenti debbano essere affrontati con l‘aiuto dell‘esperto; ciò che si vuol contestare è invece l‘estensione indebita della patologia alla normalità. Frank Furedi in Paranoid parenting evidenziava già nel 2001 la perniciosa influenza di molti esperti, psicologi o non, che si accalcano al capezzale di una famiglia presunta malata, per dispensare in modo interessato diagnosi e consigli. La conseguenza rischia di essere quella di confondere le idee ai genitori e soprattutto far perdere fiducia nelle loro competenze con effetto di delega o di "dimissioni".
Ritorna a questo proposito di attualità il monito kantiano sapere aude! contro ogni tentativo di tenere le persone in uno stato di minorità intellettuale.
Al contrario lo scopo degli incontri di Philosophy with Parents è stato quello di attivare le dinamiche favorevoli al costituirsi di uno spazio genitori in cui il diritto alla cittadinanza attiva si sposasse con il sostegno alla genitorialità; un progetto concepito nell‘ottica di una alleanza e non di una competizione tra due grandi agenzie formative: la scuola e la famiglia, oggi ridotte di importanza di fronte all‘influenza dei media e del gruppo dei pari sui figli, soprattutto se questi sono nell‘età dell‘adolescenza.
Il titolo del corso richiama alla mente la Philosophy for Children elaborata a partire dagli anni '70 da Matthew Lipman, un filosofo di formazione deweyana. Come è noto, si tratta di un progetto educativo centrato sulla pratica del filosofare in una "comunità di ricerca", in un particolare setting nel quale l‘insegnante riveste il ruolo di "facilitatore". La prospettiva pedagogica è sostanzialmente puerocentrica. L‘insegnante si avvale di racconti in forma dialogica in cui i bambini discorrono su questioni di natura filosofica a partire dai problemi quotidiani. Ora, sullo sfondo degli incontri da me effettuati rimane certamente l‘impostazione deweyana della filosofia come collaborazione tra persone di buona volontà; persone intente alla ricerca di valori condivisi nella soluzione di problemi sociali, al contrario della visione tradizionale della filosofia come critica solitaria di competitors accademici.
Tuttavia la preposizione with, a differenza di for, sottolinea maggiormente il protagonismo dei padri e delle madri, nei cui confronti il ruolo del counselor assume una valenza precisa.
Infatti di fronte ai genitori il counselor filosofico non è l‘esperto che possiede la verità e la somministra ai discepoli, né il guru che ha raggiunto la perfezione di vita, ma un facilitatore che dispone di strumenti filosofici di tipo concettuale e metodologico per attivare le risorse interne di tutti e di ciascuno, nella ricerca di ipotesi condivise di soluzione dei problemi. Facilitatore (Rogers), catalizzatore (Berra), improvvisatore (Pollastri), o anche accompagnatore, per riprendere l‘etimologia del paidagogos di ellenistica memoria, che anima maieuticamente lo spazio del con-filosofare interattivo. Un practitioner filosofico in atto che interagisce con filosofi potenziali (i genitori), convocando nello spazio del dialogo anche i filosofi del passato per mezzo di brevi citazioni o di frammenti inviati via mail tra un incontro e il successivo e lasciati alla rilettura domestica .
In questo modo il counselor attinge al più che bimilleniario patrimonio di saggezza della filosofia, accompagnando all‘uso della ragione.
Ragione declinata, innanzitutto, in termini di pensiero riflessivo, che favorisce il passaggio dal conosciuto al pensato: ad esempio nel guardare con una prospettiva diversa (non si dimentichi lo stupore aristotelico da cui nasce la filosofia) la relazione con il figlio adolescente. L‘esercizio filosofico in questo caso è quello di allenarsi a cogliere lo straordinario nell‘ordinario.
Inoltre in termini di pensiero critico, che favorisce il passaggio dall‘ovvio al problematizzato: ad esempio riflettendo sugli stereotipi di genere che i mass media propongono rispetto al padre, alla madre, alla relazione con i figli ("Forse oggi l'obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare" sosteneva Foucault). Qui l‘esercizio filosofico è quello dello sguardo dall‘alto, che ci aiuta ad uscire dal problema per rileggere se stessi, il figlio e la relazione con lui in una prospettiva più ampia e meno scontata. Infine in termini di pensiero creativo, che favorisce il passaggio dal consueto all‘innovativo: ad esempio elaborando metafore del fare il genitore che danno una visione prospettica della relazione con i figli. "Fortis imaginatio generat casum" scriveva Montaigne; si tratta in questo caso di allenarsi a visioni innovative della genitorialità che diventano possibilità realizzabili, quasi il futuro della prospettiva che diventa meta condizionasse il presente.
Le scritture e il dialogo iniziali, che riguardavano i rispettivi ruoli di conduttore e di partecipanti, hanno evidenziato come la maggior parte dei genitori fosse consonante con questa visione del Counseling Filosofico.
* Prof. Carlo Molteni
Laureato in filosofia, Counselor Filosofico diplomato SSCF, logoanalista esistenziale, formatore, operatore consultoriale familiare, si occupa di pratiche filosofiche con gruppi di genitori e di prevenzione del burn-out e promozione del ben-essere lavorativo nelle helping professions.
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